«Il
libro da leggere appartiene a quei miracoli di una tecnologia eterna di cui fan
parte la ruota, il coltello, il cucchiaio, il martello, la pentola, la
bicicletta. Il coltello viene inventato prestissimo, la bicicletta assai tardi.
Ma per tanto che i designer si diano da fare, modificando qualche particolare,
l'essenza del coltello rimane sempre quella. Ci sono macchine che sostituiscono
il martello, ma per certe cose sarà sempre necessario qualcosa che assomigli al
primo martello mai apparso sulla crosta della terra. Potete inventare un
sistema di cambi sofisticatissimo, ma la bicicletta rimane quella che è, due
ruote, una sella, e i pedali. Altrimenti si chiama motorino ed è un'altra
faccenda.
L'umanità
è andata avanti per secoli leggendo e scrivendo prima su pietre, poi su
tavolette, poi su rotoli, ma era una fatica improba. Quando ha scoperto che si
potevano rilegare tra loro dei fogli, anche se ancora manoscritti, ha dato un
sospiro di sollievo. E non potrà mai più rinunciare a questo strumento
meraviglioso. La forma-libro è determinata dalla nostra anatomia».
Questo
scriveva Umberto Eco in una delle sue celebri “Bustine di Minerva” proprio
all’inizio del millennio. Aveva torto. Oggi tutti noi sperimentiamo che il
“libro” non coincide più necessariamente con un manufatto cartaceo. A me capita
spesso di non ricordare se ho letto un “libro” sull’e-reader, sul pc da tavolo,
sul tablet o sulla carta. Come Bobbio, che non immaginava la possibilità
tecnica di poter esprimere un parere “politico” con un click (cosa che, dal suo
punto di vista, avrebbe reso evidentemente praticabile l’utopia della
democrazia diretta), così Eco non immaginava le possibilità evolutive della
forma “libro”, capace di transitare, partendo dalla pietra, passando per altri
supporti come papiro, pergamena e carta, nella dimensione immateriale.
Anche
per questo, due anni fa ho scelto di rinunziare al libro di testo nelle mie
discipline, accettando la sfida di una scuola quasi integralmente digitale. Per
me, cresciuto nell’amore fisico, tattile e olfattivo per il “libro” di carta è
stato un passaggio arduo ma pur necessario.
Rimane
aperta la sfida irrisolta della mia vita: mettere ordine nelle mie terre
libresche... Scisso tra una casa cittadina dove c’è spazio solo per pochi testi
essenziali (e non ancora digitalizzati) e una capiente in campagna, penso
spesso con sofferenza ai cinquemila volumi che dimorano a San Cumano, in
precario ordine. Prima o poi riuscirò a sanare questa lacerazione e a mettere
ordine nelle mie terre!
Seconda
sfida (persa in partenza): archiviare in maniera ordinata e utilizzabile le
migliaia di “libri” digitali accumulatisi negli anni.
Nella
Giornata mondiale del libro raddoppierò il lavoro, sapendolo vana fatica. Ma
ben venga. Non è accumulazione seriale e compulsiva. I libri ci aspettano.
Aspettano l’attimo propizio in cui il nostro incontro diventa necessario. È
importante, dunque, che essi siano pronti per quest’attimo assoluto e
trasformativo.
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