martedì 14 febbraio 2017

Latouche e la decrescita


 1. L’uniformazione planetaria

Nella corposa produzione di Serge Latouche, che ruota sempre intorno alle stesse tematiche, abbiamo scelto La fine del sogno occidentale per l’icasticità del titolo italiano (in francese è La planète uniforme) e per lo sforzo di dare in poche pagine una ricostruzione ardita della storia occidentale. Nato nel 1940 in Bretagna, Latouche insegna scienze economiche e il suo pensiero è stato fra i riferimenti del movimento no-global, seppure contestato da economisti e sociologi di sinistra.
Lo studioso francese parte dalla descrizione della uniformazione planetaria, la cui spia più evidente è data dai consumi. È «l’americanizzazione del quotidiano» che sta portando anche ad una standardizzazione dell’immaginario, con una distruzione sistematica della “biodiversità” culturale. Una sola cultura, fondata sull’economia (in cui, anzi, l’economia sostituisce la cultura) distrugge tutto ciò che si pone come diverso da sé, causando uno «sradicamento planetario». L’intero universo è costretto a diventare utilitaristico e funzionale, generando il “sottosviluppo” (che è uno sguardo dell’Occidente sull’altro).

2. Che cos’è l’Occidente?

Il secondo capitolo del libro è il più affascinante, nel tentativo di definire cosa sia “Occidente”, luogo introvabile, il cui tratto comune si rivela essere non lo spazio, non l’etnia, non la religione, non una cultura (quella illuministica), non un sistema economico, ma tutte queste cose unite in un progetto di civiltà caratterizzato dall’essere “culturofago” o “culturicida”. Caratteristica costante dell’Occidente è stato il suo progetto di “civilizzazione” della modernità. Questo progetto è universalista: «i suoi valori sono la scienza, la tecnica, il progresso; distrugge le culture e porta il benessere, eliminando l’isolamento territoriale e sostituendo le leggi del mercato ai rapporti sociali tradizionali» (p. 87). Così, la visione ristretta della vita culturale va in frantumi, mentre la concorrenza sfrenata e la ricerca della performance comportano un’accumulazione materiale senza precedenti, stimolata dal progresso della scienza e delle tecniche. Ma la cultura è sempre una “agricultura”. Mentre le altre grandi civiltà della storia sono state piuttosto degli insiemi complessi di culture giustapposte, articolate, ovvero incorporate in seno a un impero, l’Occidente si afferma come la sola civiltà «anticulturale».
Come un rullo compressore, l’Occidente ha imposto l’industrializzazione, ha causato la scomparsa dei ceti rurali (e delle loro culture), ha creato e diffuso il mito dello “sviluppo”. E, come un’inversione orrida delle utopie del progresso (a partire da Bacone), è nato il caos, la guerra di tutti contro tutti, la cui manifestazione macroscopica è il fallimento dello sviluppo economico del Terzo Mondo. La «megamacchina economica» mostra nel nuovo millennio le sue crepe, incapace com’è di rispondere prima di tutto alle domande di senso, che da sempre le “culture” hanno soddisfatto.

3. Quale speranza?

Se l’universalismo occidentale (cristiano, illuministico, capitalistico) non è che il particolarismo della «tribù occidentale», la cui nemesi è l’emergere dei movimenti identitari (i vari fondamentalismi, in cui la religione diventa premessa per la ricostruzione della comunità), l’alternativa che Latouche indica (e a cui ha dedicato ampi studi) per i “naufraghi dello sviluppo” è la ricostruzione di reti neoclaniche e la riscoperta del dono, la valorizzazione di tutta una nebulosa produttiva “informale” che già è nata alle periferie delle megalopoli: insomma, una produzione di beni collettivi nuovamente immersa nella socialità. Ma Latouche indica che questo percorso (il reinnesto dell’economia e della tecnica nel sociale) vale anche per noi “occidentali”, e passa prima di tutto per una decolonizzazione del nostro immaginario.
L’altro compito, che riguarda soprattutto gli intellettuali e gli artisti, è il passaggio da una paradigma “universalistico” (che, adornianamente, pur partendo con scopi positivi si è ribaltato in una logica di dominio) ad un paradigma “pluriversalistico”, necessariamente relativo e fondato su una “democrazia delle culture”.

[Apparso su «soglie» (on-line), ora si trova nel libro In quieta ricerca (2010)]

Il 16 febbraio 2017 sarà presentato a Benevento il libro Verso una civiltà della decrescita (Marotta & Cafiero, a c. di M. Deriu).






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