martedì 30 novembre 2010

occupazioni...


«E se vi siete detti / non sta succedendo niente…»

Gli studenti beneventani hanno occupato alcune scuole della città (Benevento è città di paradossi e controtendenze: qui il movimento universitario è “a rimorchio” di quello studentesco sia per numeri che per proposta operativa… ). Ero ancora un “precario” quando si svolsero stancamente le ultime occupazioni prenatalizie, tristi e prive di senso. Per molti anni questa pratica di protesta è stata abbandonata. Ora, improvvisamente e senza annuncio, ritorna in un momento fondamentale della storia del nostro paese.
Che tipo di contributo possiamo dare noi docenti a quanto accade? Una collega cara mi scrive su Facebook: «Questi non ci vogliono». È, dunque, giusto lasciarli vivere la loro protesta. Ma la scuola è anche nostra. Non dico il Rummo piuttosto che il Giannone o il Guacci, no, dico la Scuola, con la S maiuscola, quella di cui ha parlato Domenico Starnone in Vieni via con me. È nostra in quanto educatori, è nostra in quanto padri e madri di figli che la frequentano o la frequenteranno, è nostra in quanto cittadini di questa città e di questo paese, dove essa ha ancora il dovere di formare la coscienza civile. E, dunque, la cosa ci riguarda. Possiamo decidere di guardare la vicenda con distacco, con l’alibi che oramai la Riforma (sic!) Gelmini per le Superiori è già partita, o cercare di guardare al di là del nostro naso, e, per una volta, “tornare a volare”. Cosa sta accadendo in questi giorni? Assistiamo alla fine indecorosa di una lunga stagione politica, “l’età berlusconiana”, dominata dall’ego ipertrofico di un uomo malato di narcisismo, prima, poi via via di delirio di onnipotenza e, infine, come denunziato dalla moglie, di sexual addiction. È evidente che il berlusconismo è stato anche (e potentemente) una cultura (egemonica già a partire dagli anni Ottanta) e un blocco di interessi. Ma ora tutto questo sta finendo, e non solo per gli scandali sessuali o per i crolli di Pompei o per le rivelazioni di Wikileaks. No: la “narrazione” del berlusconismo non funziona più, né egli si è mostrato in grado di garantire quegli interessi che i suoi governi avrebbero dovuto tutelare. E, dunque, questo è il tempo di una nuova narrazione, simbolicamente aperta dal racconto accorato e partecipe, intriso di vita e passione di Roberto Saviano, in cui tanti italiani si sono riconosciuti. Se questo è lo stato dell’arte, il rinato movimento studentesco (il cui simbolo per me sono i Book Bloc, ragazzi-libro), che protesta per la Cultura e per il Sapere, contro una concezione che dietro la parola “meritocrazia” nasconde la volontà di tagliare risorse, va appoggiato e accompagnato. Tutto il mondo della scuola pubblica, a prescindere dai nostri personali orientamenti politici (e questo non appaia in contraddizione con l’analisi “di parte” che ho condotto), dovrebbe reclamare una riforma vera, che ha da essere prima di tutto un’autoriforma. Ne va della dignità di tutti. E deve reclamare che tale riforma non sia oggetto di contesa politica, di scontro ideologico. Ci deve essere un accordo, durante la prossima campagna elettorale, per avviare una fase realmente “costituente” della nuova scuola, un nuovo inizio condiviso. Non è possibile che ad ogni governo corrisponda una riforma (Berlinguer, Moratti, Fioroni, Gelmini) che passa sulle teste di chi la scuola la fa (docenti, studenti, personale Ata, dirigenti) e che il governo successiva disfa per ricominciare daccapo, sfibrando un corpo già malato. Io non amo la scuola per quello che è. Ma reputo che qualunque riforma che passi sulla dimensione biopsichica di chi la agisce sia destinata a fallire.
Cari colleghi, il mio invito è duplice: aiutiamo i ragazzi, nostri alunni, nostri figli, a capire ed agire con responsabilità (e quindi evitiamo che il problema diventi solo di “ordine pubblico”), e creiamo anche noi dei momenti di discussione e proposta per appropriarci di un processo riformatore che non può che partire da noi.



Nicola Sguera
(docente di storia e filosofia del Liceo Scientifico “G. Rummo”)

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