Presentazione
Per introdurre il mio romanzo Euthymios, il medico greco che conobbe Yeshua, pubblicato da Bolis e distribuito da Messaggerie, rispondo ad alcune domande che mi ha rivolto una collega e prima lettrice, Paola Maglione.
Come è nato il romanzo
A febbraio ho lasciato ogni impegno nella mia scuola, in aperto dissenso con la sua gestione: un dissenso che esprimo anche in un saggio premiato al "Loris Malaguzzi".
Avendo più tempo e restando “solo insegnante”, mi sono dedicato alla scrittura narrativa, un terreno per me nuovo.
Scrivo da sempre – poesia e saggistica – ma la narrativa è stato un ritorno alla mia passione per le storie, coltivata fin da ragazzo.
L’idea di Euthymios nasce dal mio interesse ventennale per la questione del Gesù storico: un interesse che si accese dopo la lettura del dialogo tra Augias e Mauro Pesce.
Ho scelto di affrontare il tema non direttamente, ma tramite lo sguardo esterno di un medico greco, figura mediatrice tra mondi e sensibilità diverse.
Il significato del nome e il carattere di Euthymios
Euthymios significa “di buon animo”, “colui che dà coraggio”. È il nome ideale per un medico.
In lui ho riconosciuto – e proiettato – parti di me:
- il desiderio di rassicurare, da insegnante e da padre;
- insieme un’intima inquietudine, che mi accompagna da quando ho memoria.
Come Bonhoeffer, mi riconosco nella tensione tra ciò che trasmetto e ciò che vivo dentro. Euthymios incarna questo duplice registro.
Gli incontri storici di Euthymios
Nel romanzo il mio protagonista incontra Celso, Giovanni Battista, Pietro, Paolo, Giuda, Pilato, Gesù, Seneca.
Lo conduco in Israele attraverso vicende che lui legge come destino.
In Terra d’Israele esplora la pluralità dell’ebraismo dell’epoca: Esseni, Farisei, Sadducei, Zeloti, la comunità del Battista.
Riprendo una tesi storica importante: Gesù fu un discepolo del Battista, poi capace di trasformare e superare il messaggio del maestro.
Gesù/Yeshua e Seneca nella mia formazione
La sua figura è decisiva per la mia vita interiore: non posso pensarmi senza di lui.
Mi definisco totus christianus, ma in modo eterodosso, persino “eretico”.
Il Gesù del mio romanzo è umano, complesso, mistico, lontano dalle letture semplificanti:
- prega da solo,
- è inquieto,
- è in conflitto con la famiglia,
- non si considera Dio né figlio di Dio.
Sapevo che questa immagine avrebbe potuto spiazzare molti lettori.
Seneca è uno dei poli della mia formazione classica.
Torno spesso ai Dialoghi e alle Lettere a Lucilio.
Nel romanzo lo incontro giovane, in una fase simile a un esilio ad Alessandria.
La sua amicizia con Euthymios è uno dei fili più intensi del libro; l’episodio nella villa a mare è, per me, una delle pagine più riuscite.
La scelta dei personaggi storici
Ho già portato Euthymios a incontrare tutti i personaggi con cui fosse verosimile un contatto.
Non sentivo il bisogno di aggiungerne altri: il rischio sarebbe stato l’eccesso.
Il mio “Gesù altro”: la visione gesuana
Ho voluto distinguere il Gesù storico dal Cristo della fede.
Gli studiosi parlano di “gesuano” per indicare l’originario, ciò che appartiene a Gesù prima dell’elaborazione cristiana.
Mi sono mosso su alcuni dati storici:
- Gesù era un ebreo profondamente inserito nella vita religiosa del suo popolo.
- Non si considerò mai Dio.
- Il Regno di Dio era il centro della sua predicazione.
Ho accentuato la sua mistica personale: un uomo che cerca Dio nel segreto, nel silenzio, nelle grotte, e che al tempo stesso annuncia un Dio che entra nella storia.
In questo tratto ho trasferito anche la mia modalità spirituale, sempre divisa tra un Dio di giustizia e un Dio di silenzio interiore.
Perché mi definisco “diversamente credente”
Riprendo la formula paolina “Spes contra spem”: sperare contro ogni speranza.
Di fronte al male del mondo, una fede ingenua è impossibile.
Ciò che resta è la speranza ostinata, non la certezza.
Quando mi chiedono se credo, rispondo: “io spero”.
Come scrive Caproni: “prego non perché Dio esiste, ma perché Dio esista”.
Mi sento autonomo rispetto a tutte le religioni rivelate, che comunque guardo con grande rispetto.
Frequento volentieri le chiese vuote, prego con parole mie o di molte tradizioni diverse.
Ho imparato a riconoscere una sacralità potente anche in molta poesia moderna.
La morte come fulcro della narrazione
Tutto ciò che scrivo è, in fondo, una riflessione sulla morte.
Per me ogni vita e ogni pensiero serio passa da lì.
Nel romanzo tutti i personaggi si confrontano con la fine:
- morti tragiche, come la crocifissione,
- morti dolci,
- morti filosofiche, come quella di Seneca.
Anche Euthymios attraversa il suo destino finale, dopo una vita segnata da lutti, epidemie, perdite familiari.
La conclusione del romanzo intreccia la storia con l’invenzione e porta Euthymios a una morte eroica, dopo aver superato ogni etichetta identitaria (greco, giudeo).
L’amore secondo Euthymios
Nel romanzo racconto due storie d’amore:
- un amore giovanile, impossibile, che lo porta a rifare il voto di castità;
- un amore maturo, fedele, realistico, che considero tra le pagine più toccanti.
In queste pagine ho messo anche qualcosa della mia storia:
un rapporto lunghissimo, di oltre quarant’anni, che ha scelto il matrimonio come forma stabile dell’amore.
Ho trattato l’amore con molto pudore, perché credo che solo così lo si possa raccontare.
Come vivo poesia e narrativa
Sono nato come poeta: i versi mi hanno aiutato a attraversare la morte di mia madre.
Per me la poesia non racconta: accompagna.
La prosa invece narra.
È un diverso modo di guardare alla vita:
- si vive poeticamente,
- si racconta in prosa.
Questa nuova stagione narrativa rappresenta una svolta, pur nella mia fedeltà alla forma poetica.

















