Pubblico la riflessione che Antonio Medici, già editore e animatore di «Sonar», ci ha inviato in merito alla rassegna di poesia appena conclusasi.
A seguire la mia risposta.
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«Cari Totty e Nicola, vi scrivo giacché reputo complicato riuscirvi a incontrare.
Innanzitutto, grazie per aver organizzato una rassegna non asfittica, preziosa anomalia per Benevento.
Ho potuto assistere solo all’incontro con Elio Pecora ed è inutile che usi aggettivi per definirne il rilievo intellettuale e, aggiungerei, emotivo. Anche della parte aneddotica.
Due parole dell’intervento introduttivo di Nicola mi sollecitano a esprimere un’opinione, ovviamente dissenziente.
Nicola si è lamentato della scarsa partecipazione dei docenti di letteratura agli incontri.
Ebbene, reputo questa sollecitazione, in cui ho colto un’aspirazione vana, incongrua al vostro meritorio lavoro.
Gli incontri culturali e in specie quelli, rari, sulla poesia, mi si perdoni l’aspirazione pop, dovrebbero ambire ad avvicinare un pubblico lontano dalle stanze della cultura, a incuriosire, a seminare, lanciare semi che possano germogliare in qualcuno (per stare su Pecora).
In questo senso, i docenti di letteratura sono un pubblico ininfluente e forse da tenere lontano giacché il docente, essendo investito istituzionalmente del compito della semina, ingenera naturale ostilità (a scuola si dimena per superare questa bar-riera).
Sarebbe bello vedere alle presentazioni ragazzi, studenti, giovani, ricercatori, avventurieri e imprenditori, persone nuove, estranee ai circoli letterari, librari, intellettuali e paraintellettuali. C’è bisogno di allargare il pubblico, della poesia, vieppiù.
Il docente di letteratura che non si interessa alle parole di fini poeti e letterati, e forse anche ai meno fini, più che essere sollecitato a presentarsi, andrebbe espunto dalla scuola, forse.
Mi permetto, per finire, di sottoporVi due questioni (non uso le parole riflessioni e suggerimenti con precisa volontà):
- nessuno insegna a leggere la poesia, a riconoscerne la struttura e le figure retoriche. A scuola si fa la parafrasi, si allena la memoria, ma l’atto della lettura (interiore, per se stessi) non è allenato. E qui risiede, a mio modesto parere, una delle ragioni dello scarso pubblico di “ascoltatori” (non lettori) della poesia;
- vendere libri in occasione degli eventi culturali può essere difficile sotto il profilo organizzativo e magari apparire sconveniente. È necessario, tuttavia, a mio avviso.
Vi abbraccio e spero di (ri)vedervi presto. Magari a Milano a raccogliere ossigeno per reggere alla cappa beneventana».
Antonio
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Caro Antonio, prima di tutto grazie per questa preziosa sollecitazione densa di spunti cui ho ritenuto di dover rispondere in maniera articolata.
Consentimi una breve contestualizzazione nel mio vissuto dell’evento “Atlante della nuvole”.
Come sai, nei primi anni Novanta, fresco laureato (con una poetessa, Biancamaria Frabotta, più volte evocata nella rassegna, su un poeta grandissimo), tornato a Benevento, per reggere la “cappa beneventana”, promossi degli incontri a casa mia in cui si leggeva poesia “a tema”. Da quegli incontri nacque “la rosa necessaria” (il nome lo propose Giovanni Varricchio) che iniziò a promuovere incontri sulla poesia o con poeti (o anche scrittori). Poco dopo uscì una “fanzine”, poi fattasi rivista, durata fino al 1999 con lo stesso nome. Lungo iato. Nel 2010 Raffaele Del Vecchio mi propone di curare una rassegna di poesia. Nasce “Poesia in forma di rosa”, che fu, purtroppo, evento rimasto isolato. Io decidevo intanto che era maturo il tempo per essere anche poeta, non solo amante della poesia. Dal 2013 sono usciti brevi plaquette poetiche. Nel 2022 entro in contatto con Casa Naima, qualcosa di più di una libreria indipendente portata avanti con coraggio e passione da Domenico Cosentino e Flavia Peluso. Diciamo un luogo di cortocircuiti intellettuali e creativi. Scopro che un gruppo di persone, il cui collante è Antonella Rosa (l’anima del Premio “Marco Di Meola”), si incontra per leggere poesie. In punta di piedi, incuriosito, inizio a partecipare agli incontri, che diventano per me un modo per ritessere fili interrotti della mia vita. Quella esperienza è divenuta un cenacolo poetico ribattezzato “Mandel” (Mandorla) in onore di Paul Celan. Lo scorso anno Raffaele Del Vecchio, divenuto Amministratore di Sannio Europa, mi ha chiesto se volevamo organizzare un ciclo di incontri di poesia. Io ho immediatamente coinvolto Domenico e Antonella. Insieme abbiamo pensato come strutturare l’evento e quali poeti e poetesse invitare. Ho ribadito che mi piacerebbe diventare parte di un insieme più grande in cui ci siano, in relazione e sinergia, il “Premio Strega Poesia”, il Pre-mio “Marco Di Meola” (Telese), il Premio “Mezzogiorno Poesia (Circello), il Premio “Nero su Bianco” (San Marco dei Cavoti). Una “rete” della poesia. Intanto, mi veniva affidata la Stanza per la poesia nella Biblioteca Provinciale in cui avviavo, in preparazione de l’Atlante, “Luogo comune”.
Perdonami questo lungo cappello, ma mi è prezioso. È mia abitudine mettere “miliari” lungo il tracciato della mia esistenza intellettuale, che con te ha avuto un incrocio importante.
E passo a rispondere analiticamente alle tue sollecitazioni.
Grazie ancora per la valutazione che dai della manifestazione, «non asfittica». So, avendo partecipato all’esperienza di «Sonar» quanto tu ritenga necessario uscire dai confini, appunto “asfittici”, del localismo. Condivido l’aspirazione, anche se, probabilmente a differenza tua, ritengo necessario valorizzare quanto di buono creativamente esiste e metterlo proprio in contatto con esperienze altre e alte. Per questo, ad esempio, nel 2010 volli dedicare un omaggio a Giuseppina Luongo Bartolini e a Sandro Pedicini, due belle voci della poesia sannita.
Muovi dei rilievi critici alla mia constatazione, amara sicuramente ma anche aperta, della pressoché totale assenza di docenti di lettere agli incontri.
Lungi da me aver pensato che fossero tali incontri per loro. Per me l’arte si dona naturalmente a tutti. Ma il mio ragionamento è il seguente: come è sperabile che un ragazzo possa provare un minimo di curiosità per la poesia del proprio tempo se questa curiosità non la prova nemmeno chi ha strumenti e dovrebbe sentire quasi il dovere professionale di conoscerne quanto meno i contorni? Posso dirti con certezza che un bravo docente di italiano della scuole superiore non conosce per nulla o quasi per nulla quanto scritto o teorizzato in Italia (lasciamo perdere il resto del mondo) dagli anni Ottanta in poi. A parte Alda Merini e, oggi, Franco Arminio, che sono eccezioni a conferma della regola, se vogliamo letti più per motivi extrapoetici (e questo al di là del valore indiscutibile di molte delle cose che hanno scritto).
Faccio spesso l’esempio di mia madre, una buona docente di lettere in un istituto tecnico che, almeno fino alla prima metà degli anni Settanta, sentiva il dovere di conoscere almeno le voci più importanti della poesia italiana di quegli anni, motivo per cui avrei trovato prime edizioni dell’ultimo Montale o di Quasimodo negli scaffali su cui avviarmi lungo la via amorosa della poesia che avrebbe segnato la mia vita.
Per me è paradossale che uno studente italiano legga e studi decine di testi poetici, dalla scuola primaria all’ultimo anno delle Superiori, e poi questa forma di espressione dell’umano scompaia del tutto, divenendo impensabile per lui acquistare e leggere un testo di poesia o andare ad ascoltare un poeta che legge i propri versi.
È per questo che l’anno prossimo, se l’esperienza come mi augurò proseguirà, porteremo “Maometto alla montagna”, cercando di utilizzare la buona volontà e l’entusiasmo di alcuni docenti e facendo quel lavoro che tu evochi, dicendo che a scuola probabilmente la poesia si “insegna male”.
Come ha detto Pecora, però, bisogna partire sicuramente dall’emozione (anche se la poesia non è solo emozione). Ovvero, bisognerebbe mettere i ragazzi, come fa il prof. Keating nel sempre memorabile film di Peter Weir, di fronte alla potenza trasformativa della poesia. E solo dopo passare alla comprensione attraverso apparati o rilievi critici. Il docente, innamorato dei versi, il nudo testo, un ragazzo che può trovare in quelle parole articolate “musaicamente” (e in genere così lontane dalla “lingua d’uso”) nutrimento per l’anima, verità e bellezza.
Infine, sì, hai ragione, è importante che ci siano i libri di poesia. Il prossimo anno troveremo un modo per risolvere questa questione, più complessa di quanto si possa pensare.
Chiudo con una road-map del futuro prossimo: immaginiamo un evento che valorizzi le voci già strutturate, alcune delle quali con riconoscimenti importanti, della poesia sannita; a settembre riprenderemo gli incontri de La stanza della poesia e del cenacolo Mandel e inizieremo a strutturare la seconda edizione de l’Atlante delle Nuvole.
Con il consueto piacere di aver dialogato con te, ti abbraccio.
Nicola