domenica 29 gennaio 2017

La rivoluzione gentile 9 (Reddito di cittadinanza e filosofia)


Il reddito (minimo) di cittadinanza sarà uno degli argomenti chiave della lunga campagna elettorale di fatto già avviatasi con il voto del 4 dicembre che ha (sonoramente) bocciato la (pessima) riforma della Costituzione fortemente voluta da Renzi.
Si tratta di un tema “genetico” del MoVimento 5 Stelle sin dalle origini, culminato un un disegno di legge presentato nel 2013-
Valerio Pisaniello ha dedicato alla questione un libro di sintesi, utilissimo vademecum, arricchito da un’esperienza autobiografica che talvolta sembra voler sfondare i limiti della asettica scrittura scientifica, per diventare testimonianza del disagio di generazioni iper-qualificate e sotto-occupate. Particolarmente illuminanti alcuni passaggi da questo punto di vista (voglio dire di una lettura “generazionale” utile per un cinquantenne come me che ha fatto ancora in tempo, malgrado in possesso di una laurea in lettere, ad avere un lavoro statale come insegnante). Per esempio, la contrapposizione fra precari e “proletari”, oppure la denunzia (particolarmente valida per il Sannio sia di destra che di sinistra) del “credenzialismo” (la necessità di amicizie altolocate per trovare o sperare lavoro) o la schiavitù del debito delle giovani generazioni.


















La presentazione del libro è avvenuta nell’anno in cui si “celebra” il decennale della crisi avviatasi nel 2007. La crisi può dirsi complessivamente rientrata a livello globale. Ma il debito globale resta molto alto. Scrive Pisaniello: «La bolla speculativa che ha colpito il continente americano nel 2007, investendo poi l’Europa e il mondo, ha generato una  recessione  non  solo  in  termini  economici,  ma soprattutto in tema di diritti».
Io ho voluto approfondire un aspetto che ritengo tutt’altro che marginale, cioè la base filosofica del reddito minimo di cittadinanza.
Pisaniello cita alcuni autori che possono essere propriamente definiti filosofi (Gorz, Marcuse, Habermas), altri che si muovono su più terreni disciplinari (Rawls e Sen).
Mi fa particolarmente piacere che si riattivino, all’interno del mondo intellettuale che gravita intorno al M5S o si sente vicino ad esso, preziosi spunti da “ereditare”. In particolare, tra i pensatori citati, Gorz (scomparso anch’egli nel 2007) è tanto grande quanto rimosso. La sua attenzione a temi come l’ecologia lo rendono particolarmente affine al progetto politico del M5S. Partito dal marxismo, Gorz incontro la questione “ecologica” (Ecologia e politica è del 1975, Ecologia e libertà è del 1977), che modifica la sua concezione del lavoro e dell’economia: «La crisi attuale del capitalismo è causata da uno sviluppo eccessivo delle capacità produttive e dalla  distruttività  delle  tecniche  impiegate, generatrice  di  scarsità  insormontabili.  Una  tale crisi  non  potrà  essere  superata  se  non  attraverso un  nuovo  modo  di  produzione  che,  rompendo con  la  razionalità  economica,  si  fondi  sul risparmio controllato delle risorse rinnovabili e sul consumo  decrescente  di  energia  e  di  materie prime». Nel 1988 pubblica Metamorfosi del lavoro. Il reddito di cittadinanza viene prima guardato con sospetto. Ancora in Capitalismo, socialismo, ecologia (1992) Gorz lo critica, proponendo un lavoro più distribuito. Eppure già allora era consapevole di una trasformazione radicale delle forze in campo: «C’è un movimento sociale multidimensionale, che non è più possibile definire in termini di antagonismi di classe [...]. Questo movimento è essenzialmente una lotta per il diritto collettivo e individuale all’autodeterminazione, all’integrità e alla sovranità della persona».
Il reddito di cittadinanza diventa (nel cuore della trasformazione post-fordista della produzione e della società), pochi anni dopo, ai suoi occhi - in Miseria del presente (1997) e L’immateriale (2003) – l’unica possibile soluzione alle trasformazioni in atto: sufficiente, incondizionato e universale.
Io trovo particolarmente emblematica questa “evoluzione” che attraversa la grande storia novecentesca ed entra nel XXI secolo con la consapevolezza di un mutamento che richiede soluzioni prima impensabili.
Dal punto di vista schiettamente filosofico, Gorz aiuta a porre un problema con il quale il nostro tempo inizia a confrontarsi confusamente, senza riuscire a raggiungere un livello di consapevolezza adeguato a risolverlo. Infatti per millenni siamo vissuti ritenendo il lavoro momento fondante, decisivo della nostra esistenza, intorno al quale fa ruotare tutto il resto. «L’uomo crea dunque la propria seconda natura attraverso il lavoro, cioè un rapporto attivo con la natura. La sua essenza non risiede nell’interiorità o nella coscienza, ma nell’esteriorità di lavoro e produzione come mediazione con la natura e costruzione di società», scrive Augusto Illuminati spiegando la concezione del lavoro come Wesen (essenza) dell’uomo in Karl Marx. Ma se il lavoro non c’è più, se molte vite oggi non si definiscono più per scelta o necessità intorno al lavoro non dovremmo ridefinire la stessa natura umana accettando che essa, dunque, non sia un dato metastorico, intemporale, ma si possa modificare con la storia del genere umano e delle sue conquiste? Insomma, oggi l’umanità quasi ovunque è in grado di produrre molto di più con molto meno dispendio di forza lavoro. I beni prodotti possono soddisfare i bisogni di tutti. Il lavoro mancherà sempre di più. Oramai è diffusa la consapevolezza che la disoccupazione stia diventando un dato strutturale che niente ha a che fare con la crisi del 2007 bensì scaturisce dalla quarta rivoluzione industriale in atto: «i robot, i sensori, le stampanti 3d, tutti collegati in rete alla cloud lasceranno poco spazio all’umano tra le macchine delle fabbriche, i big data, le intelligenze artificiali, metteranno a repentaglio la nostra permanenza anche negli uffici».
Uno dei miei grandi “maestri eretici”, Günther Anders,  aveva previsto tutto questo, irriso da economisti e futurologi. Urge, allora, senza condividerne il “principio-disperazione”, rileggere il secondo tomo de L’uomo èantiquato (1980).
 

Il reddito di cittadinanza minimo, dunque, in una mutazione che è tecnologica, sociologica, economica e anche antropologica, non è follia: «È la semplicità, che è difficile a farsi».

martedì 24 gennaio 2017

anniversario


È il primo anniversario della scomparsa di mia madre in cui non celebreremo una Messa.
Nei miei progetti di scrittura, rinviati per gli impegni politici, dopo “deus”, il n. 3 di «segnavia», da scrivere con Luca Rando, ci sarebbe dovuto essere “mater”, in cui tentare di capirci qualcosa.
So solo questo: sono più gli anni che ho trascorso senza di lei, oramai, che quelli in cui l’ho avuta sempre accanto.
Ora non la sento accanto. La sento “dentro”, in una zona così profonda che si confonde con il mio essere. Mi auguro, dunque, che la sua forma essenziale di sopravvivenza sia nel mio agire. 




domenica 15 gennaio 2017

la saggezza del corpo


«C'è più assennatezza nel tuo corpo che nella tua più assennata saggezza». Così scrive Nietzsche nello Zarathustra, proseguendo quella riabilitazione del corpo nel pensiero occidentale avviata dal suo “maestro” Arthur Schopenhauer, dopo secoli in cui la «res cogitans» era stata ritenuta guida autonoma e “absoluta”.
La vecchiaia (sto vivendo il mio cinquantesimo anno di vita pur continuando a percepirmi nei sogni e in certi momenti onirici, di stanchezza, della vita quotidiana come un adolescente) conferisce al tema una sua verità incarnata. Sono già diversi anni che mi confronto con dolori, malattie, problemi. Ho iniziato con l’ipertiroidismo esploso alla morte di madre (nel 1990), ho proseguito con l’‘ipertensione, il diabete alimentare, le emorroidi... Tutte patologie emerse in concomitanza con svolte della mia vita, come la nascita di Caterina. Insomma, il corpo è stato sempre la mia “verità” più profonda. Eppure ogni problema l’ho affrontato sempre con la certezza di un superamento. La “salute” era solo questione di buona volontà, di impegno, di costanza. Ho favoleggiato, fino a due anni fa, di un “corpo guerriero” da costruire tra palestra, corsa e pallone, dopo aver trascurato l’obiettivo nella mia giovinezza o nella maturità. L’assennatezza del mio corpo (in una direzione esattamente opposta da quella che avrebbe auspicato il “pazzo” di Röcken) mi dice, invece, che è iniziato il tempo della irrevocabilità dei mali, piccoli e grandi: in tendine di Achille non guarirà, l’infiammazione del sovraspinoso tornerà ciclicamente, l’apparato digerente è guasto... 
Insomma, il mio corpo mi sta educando al limite: non posso giocare o correre come prima, non posso mangiare o bere come prima, non posso stare ore e ore seduto a leggere o scrivere come prima. Ogni volta che varco questo limite sto male, con impacchi di ghiaccio, Maalox o rimedi omeopatici, tecar, ultrasuoni, lunghi digiuni.
E allora: grazie, corpo, per la tua saggezza, per la tua scienza esatta del limite. Troppo a lungo ho abusato di te. Attraversiamo insieme questo tratto di strada che ci aspetta, lungo o breve che sia. Ti prometto il rispetto che la mia incoscienza giovanile non ha mai avuto. Che anche questa stagione abbia le sue gioie più sottili.


martedì 10 gennaio 2017

La rivoluzione gentile 8 (Risposta a Zarro)


L’onorevole Zarro che, pur estromesso dal Consiglio comunale dal voto di giugno, continua (giustamente e in maniera competente) ad intervenire sulle vicende cittadine e sannite, dedica una lunga riflessione al Movimento 5 Stelle partendo dal voto odierno sulle Province.


Scrive:

«Nel pensiero spot dei consiglieri del M5S non c'è richiamo, ad una riflessione sulla Provincia, sulla sua natura, sulle sue funzioni, sul suo perché! E neanche sulla legge che disciplina il passaggio di martedì. Né alle conseguenze del Referendum del 4 dicembre scorso. Questi elementi, fondativi, della politica non interessano al M5S! Agli esponenti di quel movimento è sufficiente intercettare gli "umori populistici" del nostro popolo e battere la "gran cassa" su quelli. Il M5S, invero, si pone sullo scacchiere politico italiano, in conseguenza sannita, come un partito senza radici e senza riferimenti politici culturali forti. In linea con i fondamentali della nostra Repubblica».

1.    Il M5S chiede abolizione delle Province dalla sua nascita e ha presentato disegno di legge in tal senso nel 2013. La sciagurata scelta di inserire la questione nella riforma Boschi-Renzi ha vanificato, per ora, il tentativo.
2.    Sicuramente il M5S non ha “radici” nel senso tradizionale, cioè non è filiazione di alcun soggetto politico presente in Italia. Per citare Char: la nostra eredità non è preceduta da alcun testamento. Il che non vuol dire che non siamo “eredi”: lo siamo, ad esempio, proprio di quella Costituzione che l’onorevole si è speso tanto per stravolgere nei mesi scorsi e che, invece, ha visto il M5S in campo proprio come partito “della Costituzione”.
3.    Ci riempie la bocca di nobili parole. Per chi, come noi, ha la ventura di guardare finalmente dall’interno le dinamiche della politica, invece, è davvero un triste spettacolo. Come ha scritto Grillo qualche giorno fa: «[Le Province] rappresentano un “poltronificio” utile a piazzare politici, parenti e amici ammanicati, nonché a provvedere alle loro nomine in aziende partecipate ed altre controllate». Questa è la triste verità. Aggravata, per di più, dal furto di democrazia dovuto alla “Del Rio” che impedisce addirittura la possibilità di scegliere i propri consiglieri provinciali. Scriveva Danilo Toninelli nel presentare il suo Disegno di legge (Modifiche agli articoli 114, 117, 118,119, 120, 132 e 133 della Costituzione, in materia di abolizione delle province):

«L’abolizione delle province fu decisa dalla Commissione dei 75, ma respinta dall’Assemblea costituente. Non sono state abolite e il loro numero è cresciuto a un ritmo vertiginoso: erano 92 nel 1960 e sono passate a 110 nel 2005, con un grandissimo incremento di nuovi enti nel 1992 e uno più ridotto nel 2003-2005. Nessuno dei Paesi simili al nostro è articolato per province: in Francia, i dipartimenti hanno una dimensione analoga alle province ma si collocano fra i comuni e lo Stato; in Germania, le uniche realtà sotto lo Stato federale sono i Landër e i comuni; in Gran Bretagna, le contee hanno carattere tecnico-amministrativo e non politico. Analogamente negli Stati Uniti d’America, dove le stesse hanno competenze giudiziarie o di polizia».
4.    Zarro ci accusa di «viltà istituzionale»! Ci si consenta una tantum anche a noi uno dei punti esclamativi di cui abbondano le note dell’onorevole. Ci pare davvero grossa. Ci si può definire in molti modi, ma vili, onorevole, suvvia... Non ci siamo mai sottratti a nessuno scontro. Le diamo e le prendiamo consapevoli che la politica è retta da Πόλεμος. Restiamo fuori dalla indecorosa (sì, lo ripetiamo: indecorosa) spartizione di poltrone. Controllare la Provincia significa poter piazzare propri uomini e donne in posti strategici. La vicenda di Alfredo Cataudo e in genere del’ASEA (per citare il caso più clamoroso) è illuminante (come quelle di Arcos). La conosce Zarro? Altro che “nepotismo”... Purtroppo l’onorevole Zarro cerca di ammantare di nobili idealità (in cui sicuramente crede) bieche lotte per un potere che si esercita su vite umane e risorse economiche. E d’altronde i giochetti sul voto che hanno movimentato le segreterie di partito nell’ultimo mese stanno lì a dimostrarlo. Il nostro è sano populismo che nasce dalla nausea per queste pratiche. In fondo rimaniamo dei moralisti.

5.    Ci pare che quando Zarro afferma temerariamente che non abbiamo fatto i conti con la Costituzione parli in lui il trauma e lo stupore del 4 dicembre. Lui, che ha “tradito” la “più bella del mondo” per quella damina imbellettata messa in piedi da riformatori d’accatto, ha dovuto subire, dopo essersi speso tutto, anche l’onta di una catastrofica sconfitta. È il rimosso, dunque, che torna, spostando su altri il proprio problema. Dico all’onorevole Zarro che il M5S è l’unico soggetto politico che prende sul serio le parole chiave della Costituzione italiana, pur senza sacralizzarla. Ne difenderemo sempre l’essenza (che non sono le Province...).
6.    Il peggio, però, viene alla fine della nota, quando Zarro con incomprensibile volo pindarico (se non cavalcare l’onda mediatica, la canea messa in piedi da interessati manipolatori) parla dell’accordo poi saltato tra M5S e ALDE. Chiunque abbia approfondito la cosa, anche nel 2014, quando analogo schiamazzo nacque dall’accordo con l’UKIP, sa che è una scelta pressoché obbligata dal funzionamento del Parlamento europeo, non una scelta politica. Tant’è che si è tentato un primo abboccamento con i Verdi. Quando, a breve, i tempi saranno maturi, sarà possibile avere un gruppo europeo omogeneo sui punti chiave ne riparleremo. Non ci vorrà molto.
7.    Zarro, come tanti altri in queste settimane, cerca di autopersuadersi che «il M5S, mutato il vento di "questo populismo", si avvia ad imboccare, mestamente, la strada che fu dell’Uomo qualunque». Che è polemica stantia. Il M5S sta (ma credo che Zarro non lo sappia) redigendo con voto partecipato le linee-guida del Programma che tutto mi sembra fuorché qualunquista: per governare il paese. . D'altronde se ne parlava ai primordi del M5S nel 2007.


Chiudo. Sono orgoglioso di essere parte del Movimento. Malgrado i suoi errori che sono inevitabili quando si battono strade nuove, luoghi inesplorati della politica. Mi aspetto grandi cose da quest'anno. E, per chiudere con una dotta citazione, come fa l'onorevole, citando un mio antico maestro che modifica l'originale: composita solvantur.

mercoledì 4 gennaio 2017

radici nel cielo: i Musicalia hanno 40 anni


Il 2 gennaio i Musicalia hanno presentato nel suggestivo spazio del Mulino Pacifico il libro che celebra i quarant’anni della loro ricerca musicale (iniziata nel 1976), E venne il canto nuovo.
Ho avuto il privilegio di scrivere un breve contributo, molto personale, accanto a firme prestigiose che hanno accompagnato questo lungo percorso musicale.
Lo chiudo con queste parole:

«A i Musicalia dobbiamo essere riconoscenti. Il loro certosino lavoro è un lavoro da una parte di custodia del passato – simile a ciò che fecero gli amanuensi medievali, ricopiando gli antichi papiri romani e custodendoli nei loro monasteri, dall’altra di sua rivitalizzazione, di “tradizione/tradimento” alle nuove generazioni, come plasticamente dimostrato dall’ingresso nel gruppo delle nuove generazioni di Ciervo con il loro bagaglio di altra musica, di altra strumentazione. E, dunque, “vecchi” e giovani Ciervo: grazie!»

Ricordo che alcuni pezzi del loro repertorio sono parte integrante del mio “ignorante” amore per la musica. O tiempo che vò chiove, O' giocatore, Antidotum sono tra i pezzi che mi capita più naturalmente di fischiettare (io, come sanno i miei alunni, quando sono sovrappensiero fischietto...).
Nella nota biografica hanno ricordato (e mi ha fatto piacere) che fui uno dei pochi a protestare per la chiusura immotivata di “CantarPasqua”, una memorabile rassegna di musica popolare che portò in città grandi artisti di tutto il mondo.  La nostra è una città "smemorina"...
Il libro è gradevolissimo nella varietà dei contributi (tra gli altri Gaetano Cantone, Giancristiano Desiderio, Danila De Lucia, Michelangelo Fetto, Nazzareno Orlando, Melania Petriello, Franco Piazza, Ernesto Razzano).
 A impreziosirlo un’introduzione, che racconta la storia del gruppo, e, in chiusura cinque paginette con una dettagliata ricostruzione dei premi, delle partecipazioni ai festival, dei libri, delle opere teatrali e (soprattutto!) dei dischi (12, cui aggiungere le partecipazioni a importanti antologie come Tribù italiche).


Ha scritto Antonio Conte nel suo contributo, che dà il titolo al libro:

«La storia dei "Musicalia" ci parla di impegno, di convinzione irriducibile, di tensione necessaria verso l'armonia, sempre da inverare, nella ricomposizione del messaggio».



P.S.

Come ho avuto modo di dire ad Amerigo, ci sono stati, nel concerto del 2, dei momenti ipnotici, tutti musicali, che nascevano dall'alchimia del violino elettrificato di Corrado e dal flauto di Rosalidia. Le vie del Signore e quelle della musica sono infinite. Intelligenti pauca.

domenica 1 gennaio 2017

lettera aperta a Vittoria Principe (De coherentia)


Cara Vittoria,
mi rivolgo direttamente a te, in pubblico, dopo aver ponderato bene se fosse opportuno o meno scrivere delle tue scelte politiche. E sempre più, nei giorni del trapasso fra un anno e l’altro, mi è parso doveroso farlo.
Ricapitoliamo: 
1) ti sei candidata alle amministrative di giugno con una lista (“Sfidiamoli”) composita negli uomini e nelle donne con storie politiche profondamente diverse tra loro, sebbene il milieu più evidente pareva essere quello di una destra “conservatrice” (e hai avuto l’appoggio di Adinolfi); in ogni caso, ti presentavi come alternativa al centro-sinistra, che accusavi quotidianamente di malgoverno, e a Mastella; 
2) non hai lesinato critiche al Movimento Cinque Stelle, del quale tentavi di riprendere alcune tematiche. 
3) Durante il ballottaggio hai invitato in maniera vibrante a votare per Mastella in segno di discontinuità. 
4) Poche settimane dopo rompevi con il Sindaco per motivi imperscrutabili e iniziavi ad attaccarlo quasi quotidianamente e, si direbbe, a prescindere. 
5) La settimana scorso, in splendida solitudine (avendo perso pezzi sin da giugno), pur continuando a parlare a nome di “Sfidiamoli”, hai annunziato l’ingresso in quello stesso, identico PD che avevi denunziato fino a pochi mesi prima, considerandolo fomite di ogni male della città.
Non so cosa ti abbia spinto a questa scelta. Ho attaccato duramente Luigi Scarinzi in Consiglio Comunale, che (almeno per ora) ha solo abbandonato il gruppo consiliare del PD, rimanendo all’opposizione. Il 17 giugno scrivevi di «salti di vera acrobazia» cui «abbiamo assistito in questi anni». I tuoi, però, perdonami la franchezza, sono da record, anche per i tempi ristrettissimi in cui avvengono.
Hai tentato di giustificare (per altro su FB sono solerti tuoi apologeti che i maligni ritengono fake riconducibili al tuo entourage...) la scelta dicendo che il PD è in discontinuità con il decennio pepiano. Sai bene che non è vero. Malgrado l’Aventino interno dell’ex Sindaco, il gruppo dirigente è il medesimo. Non c’è stato alcun rinnovamento. Non so, dunque, cosa ti abbia spinto a questa scelta. Ho letto un’interessante analisi di Enzo Colarusso, che trovo persuasiva. In ogni caso, quello che ci tenevo a dire, come sempre con franchezza, è che trovo queste scelte sbagliate e dannose per la credibilità della politica. Stai utilizzando i (pochi) voti raccolti su un progetto politico per una carriera tutta personale. Non è corretto nei confronti di chi ha supportato quel progetto (per quanto sbilenco e velleitario) e nei confronti degli elettori. La credibilità della politica e la fiducia delle persone si conquistano con la coerenza di tutti noi.
Permettimi infine di sottolineare un altro “danno” avvenire della tua scelta. La città ha bisogno di un’informazione libera dai condizionamenti, soprattutto della politica (il che non vuol dire che un giornalista non debba e non possa schierarsi). Qualunque cosa accada, la tua parola da ora in poi sarà una parola faziosa e di “parte” (o meglio: di partito).
Ti confesso, dunque, cara Vittoria, tutta la mia delusione. Benevento ha bisogno di persone coerenti, di modelli positivi e da emulare (come tu lo sei stata in altri ambiti, esistenziali e professionali).