domenica 23 ottobre 2016

Verso il referendum costituzionale III [Potentati transnazionali]

Il 4 dicembre l’Italia sarà osservata speciale. Gli occhi del mondo saranno puntati sul nostro paese per cercare di capire la direzione di marcia che esso ha deciso di intraprendere. Da una parte, votando sì alla riforma costituzionale Boschi-Renzi, l’Italia deciderà di seguire le indicazioni contenute, ad esempio, nel documento del 28 maggio 2013 della Jp Morgan, storica società finanziaria (con banca inclusa) statunitense. Vi si trova scritto:

«The political systems in the periphery were established in the aftermath of dictatorship, and were defined by that experience. Constitutions tend to show a strong socialist influence, reflecting the political strength that left wing parties gained after the defeat of fascism. Political systems around the periphery typically display several of the following features: weak executives; weak central states relative to regions; constitutional protection of labor rights; consensus building systems which foster political clientalism; and the right to protest if unwelcome changes are made to the political status quo. The shortcomings of this political legacy have been revealed by the crisis. Countries around the periphery have only been partially successful in producing fiscal and economic reform agendas, with governments constrained by constitutions (Portugal), powerful regions (Spain), and the rise of populist parties (Italy and Greece)».

Questa potente entità finanziaria, simbolo del capitale globalizzato, coinvolta in grandi scandali come quello dei mutui subprime, con interessi corposi nel Monte dei Paschi di Siena, ritiene molte costituzioni europe viziate da elementi “socialisti” (nella difesa dei diritti del lavoro), esecutivi deboli, potere eccessivo alle regioni rispetto allo Stato centrale. È evidente che nessuno sta affermando un rapporto causale fra il documento e la riforma Boschi, che si presenta anche come il compimento di una dinamica tutta italiana (avviata nel 1979 da Bettino Craxi e proseguita in era berlusconiana). Detto questo, però, desta stupore che gli elementi cardine della riforma sono esattamente quelli descritti nel documento: l’implicito rafforzamento di un esecutivo che, grazie al disposto combinato riforma costituzionale/riforma elettorale, può controllare, avendo bisogno della fiducia di una sola camera in cui siederanno il 70% di eletti scelti da partiti, il lavoro del legislativo, senza dover neanche più ricorrere al sistematico uso della fiducia; il rafforzamento dello Stato centrale, grazie alla cd. clausola di supremazia (di cui all’art. 117, comma 4, del testo di riforma costituzionale). Se ricordiamo come il governo Renzi abbia varato anche il cd. Jobs Act che è stato giudicata molto positivamente dalle istituzioni economiche internazionali come il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, la Banca Centrale Europea e l'OCSE si completa il quadro.
Chi voterà sì avrà il plauso delle élite europeiste, ben rappresentate dal commissario europeo agli Affari Economici, Pierre Moscovici, il quale ha paventato una «minaccia populista» in caso contrario.


Infine, chi voterà sì avrà la benevola benedizione degli USA, che sostengono le politiche riformatrici del governo Renzi.

Votare no, allora, significa, a contrario, contrastare le politiche del “finanz-capitalismo” (Luciano Gallino) incarnate da JP Morgan, difendendo i valori sociali (di matrice cattolico-democratica e social-comunista) della Costituzione del 1948, contestare “questa” Europa “carolingia” guidata dalle grandi banche e dotate di una moneta sostanzialmente franco-tedesca, che ha causato l’impoverimento di tutti i paesi dell’area meridionale, rivendicare a pieno la sovranità contro le ingerenze dei “re del mondo”.
Paolo Maddalena rispondendo alla domanda che gli si poneva (a cosa mira questa riforma) ha risposto senza mezzi termini:


«Appropriarsi dei beni esistenti, soprattutto dei Paesi più deboli e periferici. E noi, ogni giorno, stiamo svendendo pezzi importanti del nostro territorio oltre a privatizzare beni comuni e diritti basilari. Ci impoveriamo. L’articolo I della nostra Costituzione dice che siamo una “Repubblica democratica fondata sul lavoro”, tra i recenti dati su disoccupazione e precarietà, possiamo affermare che stiamo spogliando il lavoro dalla sua funzione e sostituendolo col massimo profitto. È immorale e contro l’etica repubblicana».

lunedì 17 ottobre 2016

Weil [Un vero ordine umano sperabile]



I grandi istigatori di violenza si sono incoraggiati da se stessi considerando come la forza meccanica, cieca, domini in tutto l'universo.
Osservando il mondo meglio di quanto essi facciano, troveremo un incoraggiamento maggiore, considerando quanto siano limitate le innumerevoli forze cieche, combinate in un equilibrio, destinate a concorrere ad un'unità, tramite qualcosa che non comprendiamo, ma che amiamo e che chiamiamo bellezza.
Se incessantemente teniamo presente allo spirito il pensiero di un vero ordine umano, se vi pensiamo come ad un oggetto al quale si debba sacrificio totale quando se ne presenti l'occasione, saremo nella situazione di un uomo che cammina nella notte, senza guida, ma che pensa continuamente alla direzione che vuol seguire. Per un tale viandante, grande è la speranza.

Quest'ordine è il primo dei bisogni, sta persino al di sopra dei bisogni propriamente detti. Per poterlo pensare, occorre la conoscenza degli altri bisogni.

(Simone Weil, La prima radice)

martedì 11 ottobre 2016

Verso il referendum costituzionale II [Risposta a Castaldi]


Qualcuno ha scritto che quello di dicembre sarà il voto più importante degli ultimi anni. È vero. La vittoria del sì sancirebbe una significativa trasformazione dell’assetto istituzionale italiano, una svolta “decisionista”, come è stata definita, e neo-centralista (in contraddizione con l’art. 5 della Costituzione stessa). Come sempre non mi sto tirando indietro rispetto all’agone. È nella mia natura. Lo dicono le parole, bellissime, di Antonio Gramsci che amo riscrivere ogni volta che ne ho l’occasione: «Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita». Questo, ovviamente, significa anche accettare il rischio dell’errore. Ma di certo, dovesse esistere l’inferno come l’immagina Dante, quasi ovunque potrei andare tranne che nell’Antinferno, tra «l’anime triste di coloro / che visser sanza infamia e sanza lodo». 
A proposito di infamie... In questo periodo ne ho subite parecchie: ad esempio l’accusa di essere un docente sostanzialmente ignorante o reo di insegnare assurdità ai propri alunni. Come amo ripetere: come marito sarò giudicato da mia moglie, come padre da mia figlia, come docente solo dai miei alunni. E non mi curo oltre, dunque, delle anime "prave" che sono giunte all’ignominia di scrivere ai miei colleghi per infangarmi. Sono sputi in cielo...
Veniamo, invece, all’oggetto di questo post.
Nunzio Castaldi è un caro amico che mi fu accanto nel 2001, durante i mesi di campagna elettorale in cui ero candidato come Sindaco di una piccola lista civica (Città Aperta) rosso-verde. Con lui abbiamo condiviso idealità politiche, se ben ricordo l’invito anche di altri amici di entrare in SEL, invito declinato senza esitazioni, ritenendo oramai la “sinistra” istituzionale, in particolare quella beneventana, cosa morta. 
Negli ultimi anni le nostre strade si sono nettamente separate da un punto di vista politico. Lui ha deciso di iscriversi al PD, io di entrare nel Movimento 5 Stelle.
Nunzio mi ha rimproverato, con i consueti modi urbani, nella mia veste di educatore e di consigliere comunale di due cose sostanzialmente in relazione al referendum costituzionale del 4 dicembre:
1) di criticare le istituzioni che in questi mesi stanno “informando” sul referendum, accusandole di parzialità («Possono le istituzioni mentire?» si chiede e mi chiede Nunzio);
2) di utilizzare scorrettamente le mie capacità di influencer per “plagiare”, propalando informazioni scorrette sul referendum prive di adeguato riscontro scientifico e tradendo così sia il mio ruolo di educatore sia quello di rappresentante delle istituzioni.
Io sono grato a Nunzio perché mi dà l’occasione per chiarire, anzitutto a me stesso, il senso del mio agire, ora che accanto al lavoro di insegnante svolto anche quello (invero assai impegnativo) di consigliere comunale (di opposizione).



Essere nelle istituzioni non significa non vederne le criticità e i malfunzionamenti. L’idea che Nunzio ha (non so se “rettoricamente” o in maniera “persuasa”) è molto infantile (absit iniuria verbis), oserei dire (absit iniuria verbis!) hegeliana, quasi a postulare l’esistenza di una classe detentrice dell’universale, al di sopra degli interessi della “società civile”. Il vecchio Marx, quel “cane morto” che ogni tanto è bene riprendere in mano (con le dovute cautele) ci ha insegnato, invece, che lo Stato è sempre espressione di ben precisi interessi che lui definiva “di classe”. D’altronde, è esperienza quotidiana, visibilissima nei Comuni, in particolare quelli piccoli, dove è evidente che l’universale si piega agli interessi particolari, addirittura familiari. Lo dico a chiare lettere: i Ministeri e l’informazione pubblica sono stati piegati in passato spesso e volentieri agli interessi di chi in quel momento aveva le leve del potere esecutivo. Lo stesso sta accadendo ora con un’informazione faziosa tesa a plagiare il cittadino che non ha la volontà o il tempo di informarsi correttamente per deliberare. È bene ricordare, inoltre, che mai come in questo caso il ruolo del Governo, dell'esecutivo, è stato decisivo (e questa è una delle critiche di metodo più serie alla Riforma che non a caso prende il nome da un ministro, la Boschi).
Insomma, non condivido il De André che scrive: «certo bisogna farne di strada | da una ginnastica d'obbedienza | fino ad un gesto molto più umano | che ti dia il senso della violenza, | però bisogna farne altrettanta | per diventare così coglioni | da non riuscire più a capire | che non ci sono poteri buoni», però ritengo doveroso esercitare, soprattutto “dal di dentro” il sospetto. Il “potere” può essere “buono” solo se è tenuto costantemente sotto controllo da altri poteri, per esempio l’opinione pubblica. Mi stupisce, dunque, lo stupore di Nunzio nel mettere in discussione il “rigore” e l’oggettività di slide che il Ministero sta divulgando a proposito del Referendum, come se un ministero, retto da un Ministro di nomina politica, fosse un organo super partes.
La seconda accusa è più insidiosa. Provo a rispondere con una domanda. Qual è l’alternativa? Tacere? Allora non avrei dovuto neanche candidarmi come consigliere comunale di una “parte” politica? Anche in questo caso ho “tradito” il mio mandato di educatore? Ovviamente per rispondere a tutte queste domande bisognerebbe aver risposto alla domanda preliminare. Chi è l’educatore? Quale il suo compito? Quel che dico spesso ai miei alunni, a proposito, ad esempio della valutazione, è che io non sarò mai “obbiettivo”, perché l’obbiettività è un mito, una fola, ma sarò trasparente. Ecco, ripeto lo stesso a proposito del mio essere educatore e essere “di parte”: non sarò obbiettivo ma sarò trasparente. Non c’è peggior inganno di chi finge terzietà e in realtà sta sottilmente indirizzando i propri interlocutori (strategia per altro prediletta da molti dei sostenitori del Sì: «se leggiamo con attenzione la riforma non possiamo che approvarla, dunque studiamola insieme...»). Altra cosa, e certo ben grave, sarebbe se io utilizzassi l’aula per fare propaganda. Ma di questo possono rispondere i miei alunni in sedici anni di carriera. Per altro l’essere in contatto con molti di loro che hanno fatto le più svariate scelte politiche mi certifica in qualche modo che ho almeno tentato di non plagiarli. Anzi, il numero eccessivo di ex alunni iscritti al PD dovrebbe indurmi a qualche amara riflessione (scherzo!).
Resta la rete. «Tu sei un influencer... Non puoi dimenticarlo. I tuoi alunni e tante altre persone leggono quello che scrivi e ne sono inevitabilmente condizionati» (sono parole mie che cercano di dipanare il pensiero del mio interlocutore). È un onere. Lo vivo consapevolmente. Ho oltre cinquemila persone “amiche” su Facebook, ho preso 800 voti alle elezioni. Sono un monito alla responsabilità, allo studio, alla parola consapevole. Faccio ogni giorno delle scelte, le rendo pubbliche, entro nel conflitto delle interpretazioni. Lo considero un esercizio quotidiano di παρρησία, esposto al rischio costante dellerrore perché nelle faccende umane la verità” deve essere necessariamente virgolettata. Posso solo dire che se c’è gente che prova stima per me, se qualcuno ritiene le mie opinioni degne di essere ascoltate, ebbene vorrà dire che, da quando ho iniziato a frequentare l’γορά prima reale e poi virtuale, ho conquistato credibilità. Il discorso sottinteso di Nunzio è: «Non puoi usare tale credibilità per mentire o dire verità parziali». Vorrà dire che la perderò tutta tale credibilità perché ne avrò fatto cattivo uso. Oppure essa sarà rafforzata sia dalle campagne di denigrazione che alcuni hanno goffamente tentato nei miei confronti sia dalla semplice constatazione che non si contrappongo il “vero” e il “falso”, il “giusto” e lo “sbagliato” ma due possibili interpretazioni della convivenza civile, del potere, delle istituzioni democratiche e della Costituzione.
So che anche Nunzio potrebbe andare in vari gironi infernali (per esempio nel terzo cerchio) ma non nell’Antinferno. Siamo avversari politici, ma apprezzo il suo schierarsi, il suo metterci la faccia. Perché, come mi ha insegnato il fascista Ezra Pound «se un uomo non è disposto a lottare per le sue idee, o le sue idee non valgono nulla, o non vale nulla lui».  

N.B.
Tutti i virgolettati sono frasi in cui ho cercato, come già detto, di spiegare meglio a me stesso le critiche di Nunzio, più concise nella formulazione sui social.
Se Nunzio dovesse ritenerlo opportuno questo spazio è a sua disposizione per una replica.
Sono entrato pochissimo nel merito del referendum perché, a parte alcuni chiarimenti, abbiamo convenuto di evitare ulteriori polemiche, divenute, in alcuni passaggi e soprattutto per i modi poco civili di altri interlocutori, abbastanza aspre.

lunedì 3 ottobre 2016

Verso il referendum costituzionale I [Perché no]



L’appuntamento del 4 dicembre è senza dubbio la più più importante scadenza elettorale degli ultimi anni. In questi giorni è partita la controffensiva mediatica dei sostenitori del Sì su scala nazionale e locale. Questo è un esempio, con nome e cognome, di chi dall'alto di non si sa quale certificata preparazione si permette di mettere in discussione le competenze altrui. La strategia è screditare i sostenitori del No, non fermandosi neanche, lo ripeto, di fronte al dileggio e che va ben oltre un confronto dialettico. L'ho scritto e l'ho ripeto qui: io non sono disposto a tollerarlo. Lascio ai lettori ogni riflessione su quanto scrive, ad esempio, un tale, novello Calamandrei "de noiantri", (s)qualificato già dal suo linguaggio scurrile e dal suo attacco personale:


Purtroppo già il fatto che si sia in un clima da stadio di scontro fra fazioni è una conseguenza pessima delle scelta di fare una riforma a colpi di maggioranza: «Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione di ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti» (art. 138). Ma era inevitabile che ciò accadesse, non essendoci le condizioni, in una Parlamento delegittimato dalla sentenza della Corte Costituzionale sulla legge elettorale che lo aveva eletto, per una riforma “strutturale” della Parte seconda della Carta relativa all’Ordinamento della Repubblica con la modifica di oltre quaranta articoli.


Come ha detto il prof. Baldini nell’incontro con cui il M5S di Benevento ha avviato la campagna referendaria, alla fine ci sarà sicuramente una vittima: la Costituzione stessa che, cessando di essere il luogo di unione sociale e civile degli Italiani, sarà divenuta oggetto di contesa senza esclusione di colpi. Questa è un’enorme responsabilità storica di una sedicente classe dirigente (che guida l’Italia dal 2013 dopo l’esautoramento di Berlusconi da parte della governance politico-finanziaria europea e globalizzata), figlia del progetto stesso che ne sorregge l’operato, e che va sempre ricordato: il pareggio di bilancio (invero del 2012 ma fondamentale per tale progetto politico), il jobs act, la “buona scuola”, la riforma costituzionale. Sono tasselli di un unico grande progetto politico.
Per questo motivo non bisogna cadere nel tranello dei sostenitori del Sì, organizzati spesso in maniera squadristica, soprattutto quando si è iniziato a percepire il rischio concreto di una disastrosa sconfitta referendaria, che costituirebbe inciampo a questo progetto politico, certamente voluto dall’Europa e che ha avuto come regista poco occulto in Italia Giorgio Napolitano, dal quale proprio nei giorni scorsi è partita la controffensiva, che ha visto nel confronto Renzi-Zagrebelsky la prima battaglia decisiva.


I sostenitori del Sì, quelli nostrani con i quali ho provato a confrontarmi, tenderanno a dimostrare che basta la conoscenza della Costituzione del 1948 e lo studio “neutrale” della riforma Boschi per votarla entusiasticamente il 4 dicembre. Per questo non esiteranno a screditare i sostenitori del No, cercando di mostrare che essi non conoscono la Costituzione e non hanno studiato la riforma. La loro arma sarà il dileggio. Da questo punto di vista è già abbastanza facile smontarne le tesi. I maggiori studiosi di diritto costituzionale sono tutti schierati sul fronte del no.
Il mio suggerimento è, dunque, non solo quello ovvio di studiare la riforma anche nei suoi aspetti tecnico-giuridici ma esercitare costantemente il sospetto, chiedendosi: perché questa riforma? Chi l’ha voluta? Al di là dei tecnicismi come potrebbe cambiare l’assetto del nostro paese? Se già ad una lettura “tecnica” (in questo rinvio agli ottimi articoli di Vincenzo Baldini) essa appare discutibile, quando la si legge all’interno del progetto più ampio di rafforzamento del potere esecutivo finalizzato a decisioni celeri che non abbiano l’ostacolo di un organo legislativo troppo autonomo e articolato, ebbene allora tutto diventa più chiaro. Mettiamo insieme i due approcci:


«L'analisi compiuta secondo un metodo scientifico conduce, in conclusione, ad un giudizio recisamente negativo sui contenuti della legge costituzionale di riforma.
Si tratta di un cattivo riassetto organizzativo che, più che compiere un passo in avanti nella costruzione di un modello di "democrazia decidente" cerca di affermare in modo surrettizio le condizioni di una democrazia decisionista, infarcita di soluzioni procedurali atte ad affermare la supremazia di una maggioranza e a sgomberare, all’Esecutivo, ogni ostacolo sulla via della libera decisione» (Vincenzo Baldini, Professore di Diritto Costituzionale, Università di Cassino).

Questo è il motivo principale per il quale io voto no e invito tutti a difendere una Costituzione (sicuramente perfettibile) da una riforma pericolosa.




[01. continua]