sabato 2 luglio 2016

La rivoluzione gentile 4 (Uomo completo)


“Rivoluzione gentile”: non riguarda solo la comunità di cui sono parte, come progetto avvenire ma già in fieri. Riguarda prima di tutto me. Aspiro, nella mia maturità anche anagrafica, ad essere quell’άνθρωπος τέλειος di cui parla in Resistenza e resa il mio amato Bonhoeffer: un uomo completo. Aspiro a preservare la "gentilezza": mi hanno insegnato Dante e gli Stilnovisti che essa è nobiltà d'animo che si trasforma in una stile di vita. La sfida che mi è davanti non è tanto quella di rimanere una persona fondamentalmente onesta (ma su questo mi piacerebbe tornare), immune dalle tentazioni del potere quanto quella di continuare ad essere ciò che sono negli ambiti della vita che mi più mi caratterizzano. Insomma, continuare ad essere un marito presente e, soprattutto, un padre. Da settembre, quando è iniziata, almeno nella mia percezione, l’avventura elettorale, sono stato risucchiato, nei tempi e, soprattutto, nei pensieri, da impegni sempre più pressanti e stressanti, in continua tensione con i bisogni familiari. Se ripenso alle mie vite precedenti, per esempio all’impegno (breve) in Rifondazione Comunista, alla fine del secolo scorso (!), ricordo l’impressione di uomini e donne senza incombenze familiari o con situazioni complicate. Spesso la percezione che ne avevo era di persone che vivevano l’impegno politico come una “fuga” o una realizzazione che altrove non era data. Io, lo ripeto, voglio essere un uomo completo. Non voglio che l’esperienza politica diventi totalizzante (e, dunque, potenzialmente totalitaria). Ricordo a me stesso, in pubblico, di essere un marito, un padre e un insegnante, prima di ogni cosa. Lo sono sono stato poco e male in questi mesi. Ho chiesto ripetutamente scusa ai miei alunni, che mi vedevano spesso distratto e assente, continuamente in ritardo sugli impegni presi. Ho chiesto scusa a mia moglie e mia figlia, che hanno pregato perché io venissi bocciato dalle urne, temendo di ritrovarsi in casa un marito e un padre dimidiato. Ecco, allora la vera sfida degli anni avvenire: non attraversare la corruzione e il marcio e uscirne pulito (mi auguro che la coltivazione della mia anima mi supporti in questo compito pur gravoso) quanto preservare integri gli ambiti più preziosi della mia vita, quelli che mi rendono ciò che sono. Se la politica mi dovesse trasformare in un marito, in un padre e in un insegnante peggiore (e qui l’unico giudizio valido sarà quello di mia moglie, di mia figlia e dei miei alunni) avrò fallito, a prescindere dai risultati che dovessi raggiungere come uomo pubblico.




Sto per trasferirmi nella mia dimora campestre. Tra pochi giorni, contestualmente al primo Consiglio comunale, dunque, potrò ritrovare quel “centro” smarrito in questi mesi «matti e disperatissimi», rimettendomi in contatto con le energie primigenie e scendendo nella mia anima, dopo aver fatto silenzio. Ho sempre saputo che la figura che più mi rappresenta è l’ossimoro. La mia vita è un tentativo di tenere insieme, in tensione, cose che normalmente sono separate. Dunque, è doveroso chiudere con dei versi. Mi ricordano il compito dei prossimi mesi.

Senza parola la mia preghiera né misura
accade. Nel segreto tutto tace,
e divengo tutt’uno con il libro.
Mentre il vento tra fronde sussurra,
sfiorando la corteccia della quercia,
avverto risalire le linfe
che bramano il cielo,
custodita in essa tutt’intera
la memoria della terra.
Altra preghiera non so,
se non lo sguardo amoroso sul volto
che, nella fatica del giorno, m’incrocia.